lunedì 6 febbraio 2012

La Finestra


È un po' che non sto alla finestra di camera mia. Voi direte: "sticazzi, col freddo che fa". No, non è quello. Anzi. Diciamo che ho un certo sottile legame con il sapore dolce del dolore. Stare alla finestra d'estate non ha molto senso per me. L'ho fatto, ma non ha lo stesso significato, lo stesso sapore, appunto. Se piove, è ancora meglio. È per questo che non sopporto il freddo ma proprio non riesco ad odiare l'inverno. Mi dà sensazioni forti. Mi fa sentire viva. Culla il mio lato malinconico, ricorderete sicuramente. Ricordo quand'ero poco più di una bambina - o forse ero ancora una bambina -, la mia unica valvola di sfogo, la mia unica ora d'aria in un'esistenza che io vedevo esattamente come un carcere, era la finestra di camera mia. Solo che, possibilmente, la facevo durare più di un'ora, e al tempo si trattava di un'altra finestra, un'altra casa. Con metodo, mi mettevo la sciarpa, mi infilavo la giacca e aprivo la finestra. La luce immagino fosse sempre già spenta, non l'ho mai tollerata. Davanti a me c'era uno scenario strano, sicuramente suggestivo. Col senno di poi, mi spiace non averci mai fatto una foto; ve la mostrerei volentieri. Proverò a colmare con le parole, sperando che la memoria non mi abbandoni proprio ora: Ero al terzo piano, proprio come adesso, ma ho come l'impressione che là i piani fossero molto più alti. Sotto di me, c'era la strada che a sinistra portava ad una curva per poi nascondersi, e a destra faceva la stessa cosa, ma si intravedeva una salita che porta (tutt'ora) a casa di alcuni miei parenti.
Oltre questa strada, c'erano degli alberi, ed un parchetto giochi per bambini che stava un po' sottostante rispetto al livello strada, in quanto l'intera zona è costruita su una montagna. Dietro al parco giochi, infatti, si intravedeva la chiesa, la quale in realtà era in un'altra strada, da lì non visibile, che scendeva "a valle". A sinistra della chiesa (che io ricordo enorme dalla mia prospettiva, ma probabilmente è solo che stavo cominciando a capire come andavano le cose già allora), siccome come ho detto i piani erano piuttosto alti, vedevo anche la zona "a valle", appunto, più precisamente, il mare. Il mare e, sopra di lui, un gran bello squarcio di cielo. A destra rispetto alla chiesa, invece, in notevole lontananza, intravedevo un monte. Sopra quel monte, in mezzo al nulla - o così sembrava - intravedevo anche una casetta e, nelle sue immediate vicinanze, un pennone con bandiera piantato a terra.
Non potete neanche immaginare il quantitativo e, soprattutto, l'intensità di tutti i trips mentali che mi facevo. Sul mare, vedevo spesso le navi da crociera che passavano e nel cielo sovrastante gli aerei in fase di decollo e atterraggio (sì, da qualche parte mooolto più in là doveva esserci l'aeroporto). Il mio sogno di andare via, partire per altri lidi, trasferirmi negli States... è nato proprio in quel periodo, quindi questa visuale mi ipnotizzava. Mi faceva provare invidia. Chissà dove stanno andando quelle persone. - Fermate quell'aereo, voglio salire a bordo anch'io! - Ma perché quelle persone stanno tornando qui?!? Devono essere matte! - E così via, insomma... Ma la visuale che m'incantava di più, in realtà, era un'altra. Sì, proprio quella: la casetta con la bandiera issata sul pennone che stava in cima a questa montagna che vedevo solo in parte. Come ho detto, la montagna era lontana, quindi non ero in grado di delineare i dettagli di questa suggestiva quanto curiosa visuale. Ed è lì che subentrava l'immaginazione.
Un po' il contesto, un po' ciò che riuscivo a carpire da lontano, un po' (molto) il sogno... io, quella zona, la vedevo come una sorta di ranch. Ma di quelli piccoli, di quelli che si trovano sicuramente da qualche parte sulla Route 66, insomma. Con la sua bandiera che per anni mi sono chiesta quale immagine sventolasse orgogliosa. Forse quella statunitense, a questo punto! :) Siccome quella montagna la vedevo solo parzialmente, mi immaginavo che, in realtà, oltre i miei occhi si estendesse per infinite lunghezze, e fosse perlopiù desertica. La cosa più strana era che ero in grado di cogliere molti più dettagli di sera. Di giorno, per esempio, la bandiera non la vedevo neanche. Magari non c'era, chissà. ;) Vi confesso che a volte me lo sono chiesta, se non fosse solo tutto frutto della mia fantasia. Realtà o fantasia, resta il fatto che quello era il mio piccolo sogno impossibile, forse irreale appunto, ma in qualche modo tangibile, maledettamente lontano, ma anche così incredibilmente vicino. Cazzo, avevo il ranch sull'infinito deserto americano a poche centinaia di metri da me in linea d'aria! E scusate se è poco! :D
Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti. Ma proprio tanta. La mia vita è cambiata, gli anni sono passati, le persone sono andate, altre sono venute, io stessa sono andata e tornata più volte...
La mia passione per "la finestra", però, è sempre lì, immutata. Nonostante la mia finestra, come vi dicevo, non sia più la stessa. Oh sì, è cambiata molto. Se per la prima ho impiegato un mare di parole a descrivere con dovizia di particolari ciò che trovavo dinnanzi a me ogni volta che l'aprivo, per la seconda ci impiegherò poche righe: Il mio terzo piano sembra essere molto più basso (eppure i soffitti appaiono più alti!) e la mia visuale è pressocché nulla. Davanti a me, a 4-5 metri circa, si erge un palazzo identico al mio. Tra i due palazzi, c'è una piccola "corte" con cancello sulla sinistra nella quale vengono parcheggiati i motorini e le moto degli inquilini dei quattro condomìni.
A sinistra, dopo il cancello, c'è una costruzione perpendicolare al mio palazzo in cui lavorano i volontari del 118. A destra, intravedo altri palazzi in non troppa lontananza. Esatto, avete capito bene: palazzi di fronte, a destra e a sinistra. L'unico scenario differente si ha in dei piccolissimi squarci di cielo che posso vedere tra il palazzo di fronte e i due rispettivamente a destra e a sinistra, e ovviamente sporgendomi un po' e guardando in alto. Fine. Il lato positivo di una visuale così limitata è che stimola la fantasia e l'immaginazione. Inutile dirvi, infatti, che ho passato altrettante - se non di più - ore a questa finestra rispetto all'altra. Rappresenta ed è comunque quello che io definirei un quadro interattivo ed in continuo cambiamento.
È un po' che non ci sto, come vi dicevo, perché si tratta di un'attività che succhia molte energie, molta vitalità e molta positività. In altre parole, sì: deprimente. Perché, insomma - specialmente le anime irrequiete mi capiranno - è difficile - direi più "impossibile" - riflettere senza deprimersi almeno un po'.
E siccome, anche se non sembra, io non sono proprio una che sguazza di gioia nel dolore - posso trarne gusto in una spolverata leggera, come quella dello zucchero a velo sul pandoro (e credo sia dovuto più ad abitudine che ad altro) -, allora un bel giorno, tra tante cose, ho deciso anche di sospendere - o quantomeno rarefarre - quella che per me era ormai diventata un'abitudine a tutti gli effetti.
Ieri e oggi. Immagini diverse, pensieri diversi, e raramente al tempo avevo una sigaretta in bocca (mentre ora è un must; viceversa per la giacca, che ora difficilmente indosso), però comunque ero sempre io, con la mia malinconia, con la mia nostalgia del mai vissuto e con la mia - onnipresente - musica.



Aprirò una finestra sul cielo,

provando a guardare
giusto un po' più in là dei miei sogni
finiti a naufragare...

Nessun commento:

Posta un commento