mercoledì 16 marzo 2011

Flusso di Coscienza

Questo è uno di quei momenti come non me ne venivano da un po'. Uno di quei momenti in cui mi viene la scimmia da blog, e allora eccomi qua, senza un motivo o ispirazione ben precisi.



Poche settimane fa ho compiuto 23 anni. Ultimamente mi sto trovando spesso a fare un riepilogo e a tirare le somme della mia vita, cercare di capirci qualcosa, cercare di trovarci un filo logico. Forse, osservando da dove si è partiti e da dove si è passati si può capire anche dove ci si sta dirigendo. Finora non ho avuto molti riscontri, ma chissà.



Gli ultimi mesi sono stati in qualche modo intensi. Non saprei bene dire di cosa, ma non credo che si tratti di particolari avvenimenti. A volte ci si sente pieni di qualcosa a cui non si riesce a dare un nome. Mi sono trovata a consumare molte meno parole del solito, ho preferito tenerle dentro. Forse sono loro quel qualcosa a cui non so dare un nome, chissà. So solo che mi sono resa conto, col senno di poi, che io nelle mie parole ci affogavo, letteralmente. Le parole, poi, sono molto pericolose, perché creano. Nel momento stesso in cui vengono pensate, creano. E non si sa mai cosa creino. Creano realtà, creano illusione, creano di tutto e di più. Ma una volta che questo qualcosa è stato creato, non si può cancellare, non del tutto. È per questo che molte le sto tenendo dentro. Ma sono embrioni, sono parole che non devono per nessuna ragione nascere. Non le devo nemmeno immaginare. E guardate che non è facile, proprio per un cazzo.



Le parole sono armi. Lo sono state le mie, e ancora di più quelle degli altri. Pare però che in giro le munizioni siano piuttosto economiche, mentre per me sono sempre costate un occhio della testa. Ad ogni modo, sarebbe bene che il mondo sapesse che io faccio collezione di tutti i proiettili che mi hanno colpita. Non li butto via, no, nemmeno uno. Li conservo tutti. Tutto sommato sono pure carini messi lì, tutti in fila. Fanno la loro porca figura, non c'è che dire. Ci sono quelli tutti colorati e scintillosi, quelli grigiastri e arrugginiti, quelli neri come la pece, quelli bianchi neve fuori e completamente marci e putridi dentro. Ce n'è per tutti i gusti. Io per poter usare questi stessi tipi di parole sarei costretta sicuramente a sborsare cifre da capogiro.



Forse è per questo che io non le ho mai sparate a cazzo, senza cognizione di causa, senza intenzione, ma sempre e solo per assoluta, pura, sincera convinzione. Non pensavo che "mi prendi troppo sul serio" volesse dire questo. Eppure avrei dovuto capirlo. Eppure forse un po' me lo sentivo anche.



Ci sono tante canzoni che faccio fatica ad ascoltare in questo periodo. Troppe, per i miei gusti. Ora che ci penso, facevo fatica ad ascoltarle anche prima. Ma è una fatica diversa. È un dolore diverso. Persino le stesse canzoni sembrano essere diverse.



La pioggia fuori dalla finestra batte forte su teli di plastica. Il suo suono ricorda quello di una mitragliatrice. Chissà se questa pioggia particolare brucia come bruciano le lacrime sul viso.

Ma non ora. Altri tempi, altre vite. A volte anche questa. Ho spiato sublime dal mio quadrato sul mondo questa stessa pioggia tante, infinite volte. Stanotte la voglio ignorare. La ignorerò fino a domani, quando, ingenua come una bambina, penserò che un ombrello sarà abbastanza per ripararmi da lei, e mi ci butterò dentro, senza paura. E, forse, avrò anche ragione.



Ché alla fine è proprio la paura a fare la differenza. Ricordo di aver pubblicato un mio pensiero sulla paura su questo blog, qualche tempo fa. Mi ha sempre tormentato la paura. Ci convivo da un tempo non ben definito, un tempo che non riesco bene ad inquadrare e che, forse, equivale a sempre. Devo dire che è diventato un coinquilino alquanto fastidioso, e spero di potermi affittare presto ad uno nuovo.



Nel frattempo, vi lascio, ché qui è molto tardi, tanto per cambiare. A volte ho come l'impressione che nel mio mondo siano sempre e solo le 5 del mattino. Il domani si fonde all'oggi che si fonde allo ieri. Hmmm, tutto ciò mi è famigliare.



Buone ore, gente.



venerdì 4 marzo 2011

Epistolarmente...

Non credere che sia facile, perché non lo è, non lo è stato mai. Almeno per me. Pensavo di poter dire la stessa cosa di te, e invece ho ricevuto ciò che più temevo: l'indifferenza.

E ti ringrazio per questo, perché ciò che non interessa a te non interessa manco a me. Non più. Non così tanto. Non... Mi sono trovata ad apprezzare molto gli anestetici ultimamente. Se potessi parlarti, ti direi che forse un giorno ci rincontreremo. Ti direi che spero che prima di quel giorno avrai capito. Ti direi che mi dispiace per tutto questo. Ti direi che ciò che arde si consuma, fino a diventare cenere, fino a scomparire. Ti direi che avevi ragione: un giorno, mi avresti deluso. Ti direi che, nonostante quel giorno, ancora ti penso e ancora so, dentro di me, di volerti bene. Ti direi che gli opposti si attraggono, e ti direi che gli eguali si respingono. Ti direi che le tue confidenze non sono andate perse, e che continuerò a custodirle, perché sono preziose, anche se ora non lo ricordi, o non lo vuoi ricordare. Ti direi che ora mi voglio un po' più bene, e ti direi che spero abbia imparato a farlo un po' anche tu. Ti direi: "ciao"...